Che cos’è la felicità e qual è il suo rapporto con il denaro, e perché spesso confondiamo l’uno con l’altro? Come mai quando esaudiamo un desiderio, poco dopo siamo di nuovo insoddisfatti e vogliamo di più? Sono domande alquanto scottanti, soprattutto ora, che viviamo anche il lato negativo della questione, ovvero: più i soldi mancano e il sistema economico entra in crisi, più sembra che ci sia poco da stare allegri. E l’infelicità, si sa, genera una pericolosa spirale discendente per l’economia e la finanza.

 

Se volete un punto di vista spregiudicato e pragmatico, vi consiglio di leggere Istruzioni per rendersi felici di Vittorio Mascherpa (Adea Edizioni), che offre non solo una teoria documentatissima sotto l’aspetto economico, sociologico e psicologico, ma anche metodi pratici (del resto, sono istruzioni) per “allenare i muscoli della felicità”.

Da subito, Mascherpa dimostra che la relazione tra reddito e benessere è alquanto ambigua: l’aumento di reddito ha effetti positivi sul benessere delle fasce più basse, ma superata una certa soglia questo rapporto si inverte, man mano che gli sforzi per ottenere un reddito sempre più alto diventano seri ostacoli alle relazioni e al benessere psicofisico (d’altra parte, abbiamo visto nel post precedente quali siano i rimpianti più frequenti in punto di morte).

La felicità stessa appare come un paradosso: le vittime di incidenti stradali divenute paraplegiche, a un anno dall’evento che ha sconvolto la loro vita, dimostrano un indice di soddisfazione esistenziale quasi uguale a quello del resto della popolazione. La stessa dinamica si presenta per i vincitori di lotterie: basta appena qualche settimana perché il loro livello di soddisfazione rientri nella media!

Ma allora, perché cerchiamo sempre di più, perché non ci accontentiamo mai di quello che abbiamo ottenuto, insomma, perché la felicità fugge in avanti proprio quando sembrava ormai tra le nostre mani? In un paio di articoli abbiamo già accennato alla ‘ruota del criceto’. Mascherpa, dal canto suo, chiama in causa la maledizione del treadmillovvero del tappeto rullante:

…immaginate di farci salire un cane, e di sistemare davanti a lui, appena oltre la fine del tappeto, una succulenta bistecca. Dapprima forse si accontenterà di trotterellare verso il suo premio, ma poi, accorgendosi che questo non si avvicina di un passo, proverà ad aumentare l’andatura, poi forse a correre, poi a galoppare, la lingua penzoloni, fino a restare senza fiato. Ma la bistecca è sempre là, un paio di metri soltanto davanti al suo naso eppure apparentemente irraggiungibile.

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A questo punto sarebbe logico scendere dal treadmill e andare a prendere la bistecca, eppure qualcosa ci impedisce di prendere in considerazione l’ipotesi. Perché ogni volta che abbiamo ottenuto un risultato, ad esempio un reddito più elevato, pensiamo di aver afferrato la bistecca, ma proprio in quel momento ne compare un’altra all’orizzonte: ci accorgiamo che potremmo avere una macchina più potente, che potremmo ristrutturare la casa o comprarne una più grande e quindi una nuova bistecca – un reddito ancora più elevato – ci appare e camminare sul maledetto tappeto sembra l’unico mezzo per raggiungerla.

Eppure, qualcosa non funziona. Quando ci chiedono se siamo felici, automaticamente i nostri pensieri vanno a una catena di ragionamenti: ho lavorato una vita, ho una bella famiglia, ho una casa, quindi sono felice (oppure non lo sono, per le ragioni opposte). Eppure la felicità non è il frutto di un’operazione logica, non ha tassi di interesse, non ha ‘se’ e ‘ma’, è un sentimento immediato che si può manifestare anche in assenza di ragioni plausibili, proprio come l’illogica allegria di Gaber.

Ma allora che fare? Come promesso dal titolo, queste istruzioni offrono degli strumenti pratici per uscire dal circolo vizioso delle ‘seghe mentali’, evitando sapientemente i moralismi consolatori (“trovare lo stagno giusto in cui nuotare”) e le tirate alla moda sulla “decrescita felice”.

Non importa quanto vogliamo guadagnare o la donna o l’uomo che vogliamo conquistare. Quello che conta è recuperare la “variabile perduta” nell’equazione appagamento dei desideri=felicità. L’elemento mancante si chiama prendere coscienza: vivere interamente il momento della soddisfazione, ad esempio, che solitamente viviamo già distratti dal nuovo obiettivo che già appare all’orizzonte. E in questo, il libro di Mascherpa offre una pletora di esercizi pratici, dall’educazione sensoriale all’allenamento dell’osservazione, fino al vivere più intensamente il presente (chissà cosa ne direbbe Stacy Johnson), ovvero l’unico momento in cui la felicità è possibile.

“Riuscite a immaginare una vita in cui esiste solo il nuovo, in cui nulla è banale e scontato, e parole come “abitudine” e “noia” non hanno alcun senso?”. Che sia questa la soluzione alla nostra eterna insoddisfazione?