Domenica durante l’Angelus, papa Benedetto XVI ha ricordato le parole di San Giacomo, ovvero la famosa invettiva contro i “ricchi” (chi vuole, può leggerla qui). Cogliendo l’occasione delle ennesime ruberie nella gestione di fondi pubblici, il Santo Padre approfitta dello stato d’animo alquanto alterato della gente per ribadire il messaggio che i “poveri” sono beati di Dio e i “ricchi” sono disonesti.
Bene: caro Santo Padre, io non ci sto. Voglio anzi esprimere tutto il mio disaccordo e il mio disappunto per queste parole scritte 2000 anni fa e che la Chiesa continua a proporci distorcendo il messaggio originale a proprio interesse e, a mio parere, con grande scorrettezza.
In primo luogo, le ruberie che oggi sono balzate agli onori delle cronache non hanno come protagonisti i famigerati “ricchi”, ma coloro che criminalmente sottraggono soldi pubblici per i propri fini: non si tratta di persone che hanno guadagnato denaro grazie alle proprie attività e alla propria determinazione, rischiando – e molto – in proporzione agli obiettivi che si sono posti. Si tratta invece di criminali che hanno approfittato della propria posizione privilegiata e che meritano tutta la nostra condanna.
In secondo luogo, se andiamo a ritroso nella storia, ci accorgiamo che la condanna delle ricchezze è una costante della Chiesa Cattolica, ma non lo è per altre confessioni cristiane. Esiste anzi un famoso saggio di Max Weber che evidenzia il legame tra l’etica calvinista e la nascita del capitalismo: per Calvino, infatti, il lavoro è una vocazione e il profitto che ne deriva è un segno della grazia divina. Ma, cosa più importante, “il profitto va reinvestito perché il beruf [la professione, il mestiere, ndt] ha un valore in se stesso e non per i godimenti che possa procurare”. Ed è proprio questa la differenza: mentre le parole di San Giacomo si riferiscono a chi accumula per amore della ricchezza, il mondo è cambiato, e parecchio.
Ora, personalmente non trovo nulla di male nel godere della propria ricchezza, così come trovo giusto che chi abbia disponibilità aiuti chi ha bisogno (cosa che in molti fanno, in privato e senza pubblicizzarlo). Perché, attenzione, non è il denaro la radice di tutti i mali, è l’uso che se ne fa. E nel mondo contemporaneo, in cui l’economia è aperta, non sono solo le “opere di bene” – pur sacrosante – l’unico uso buono della ricchezza: chi reinveste i propri guadagni, facendo circolare il denaro, permette ad altri di beneficiarne, in termini di posti di lavoro e di guadagni.
Insomma, l’invettiva di San Giacomo suona un po’ datata e, se proprio andassimo a vedere, in contraddizione proprio con il pulpito da cui proviene: perché infatti dovremmo accettare il messaggio che ci vuole poveri e buoni, da chi accumula ricchezza ed esibisce sfarzo da 2000 anni?
Non è corretto, caro Santo Padre, approfittare della tua posizione di capo della Chiesa per indurci a credere che essere ricchi sia sinonimo di disonestà e fonte di tutti i mali! In fondo, sono proprio messaggi come questo che non permettono a molte persone di agire con determinazione per risolvere la loro situazione finanziaria creando in loro un conflitto interno di valori e fede.
Prendete coscienza dei messaggi che ci arrivano continuamente dai media e sappiate ragionare con la vostra testa, non con quella degli altri.